venerdì 6 maggio 2016

Industria ed allevamento degli animali da pelliccia

Il recente caso della chiusura per l’ordine di demolizione ( a causa di un grave abuso edilizio ) dell’allevamento di visoni a San Cataldo ( Mantova)   dopo 41 anni di attività riporta all’attualità il tema degli animali da pelliccia.
Oggi in Italia esistono circa 20 allevamenti di visoni, l’unico animale da pelliccia ancora presente nel nostro Paese mentre in passato erano allevati anche volpi e, negli anni ‘70 ed ‘80, nutrie ( o castorino) e cincillà. Sebbene, secondo il rapporto Eurispes 2015 il 90% degli italiani sia contrario agli allevamenti  degli animali da pelliccia.
Nonostante l’aumentata sensibilità della popolazione al tema dello sfruttamento animale l’Europa prosegue nella tradizione dell’allevamento degli animali da pelliccia.
Settore di cui rimane uno dei maggior produttori del mondo per le pellicce di volpi e di visone destinate principalmente all’esportazione nei Paesi dove si trova il maggior numero di aziende di lavorazione e commercializzazione dei relativi prodotti finiti come Cina e Russia.
In Europa gli allevamenti si concentrano soprattutto in Danimarca per le pelli di visone, in Finlandia per quelle di volpe, a seguire Olanda, Polonia ( dalla caduta del comunismo ha avviato un fiorente mercato di pellicce, soprattutto di visone, ed ha avuto una forte crescita del settore ) e Paesi scandinavi.
Ma poiché l’opinione pubblica è sempre più incline al divieto di questa pratica alcuni Paesi, come Austria, Regno unito, Bosnia, Croazia hanno totalmente proibito l’allevamento, l’Olanda ha emanato un provvedimento di divieto che entrerà in vigore nel 2024 e dal 2013 la Slovenia ha provveduto con l’interdizione di allevamenti ed attività venatoria allo scopo di ricavarne pellicce. Altri nazioni hanno messo in atto provvedimenti idonei a limitarne la produzione. Così in Svezia l’adozione nel 1995 di misure restrittive per gli allevamenti di volpi ha determinato la chiusura di tutte le aziende nel 2000 ( sono però rimasti circa 70 allevamenti di visoni),  l’entrata in vigore nel 2012 di una normativa sul benessere animale in Germania sta provocando la chiusura degli allevamenti che non risultano più abbastanza remunerativi, in Danimarca dal 2009 è stato proibito l’allevamento di volpi e in Svizzera le limitazioni imposte dalla legislazione relativa al benessere animale impedisce di fatto l’esistenza di simili allevamenti ( rimangono però gli allevamenti di visoni).
Ma se in Europa la richiesta di pellicce è drasticamente diminuita è invece progressivamente e considerevolmente cresciuta in Cina, paese diventato, dalla metà degli anni Novanta ‘90, , insieme alla Russia, uno dei principali acquirenti e tra i maggiori produttori mondiali di pelli e pellicce di ogni genere.
Nella nazione cinese le uccisioni avvengono con le modalità più  crudeli per la mancanza di leggi normatrici delle procedure di uccisione degli animali. E riguardano molte specie animali tra cui il murmasky o cane procione, ma anche cani ( soprattutto pastore tedesco il cui pelo è estremamente simile a quella del  murmasky ) e gatti. La pelliccia di questi animali è utilizzata soprattutto per gli accessori, gli inserti e le bordature dei capi invernali e la sua vera natura è celata da etichettature fuorvianti ed ingannevoli ( Asian jackal , sobaki, gae-wolf, ecc. per la pelliccia di cane, wildcat, katzenfelle, goyangi   per quella di gatto).
E pure se sempre più marchi della moda e del lusso rinunciano all’uso delle pellicce vere questo mercato non appare  in crisi.
Infatti il settore risente della crisi economica, è contrastato dal perfezionamento qualitativo delle pellicce sintetiche e boicottato dalle campagne di sensibilizzazione dei cittadini in Europa e in America,  ma è in costante evoluzione e crescita in Paesi dove rappresenta esclusivamente un’industria redditizia e nei quali risulta ancora quasi del tutto assente la riflessione etica relativa al benessere animale.

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