sabato 12 marzo 2016

L’affare del bracconaggio e del commercio illegale di specie rare

Il fenomeno del bracconaggio ha assunto negli ultimi anni proporzioni così rilevanti da determinare  lo sterminio di moltissime specie animali che paiono irrimediabilmente destinate all’estinzione.
Ai devastanti effetti del commercio illegale di animali selvatici corrisponde un giro d’affari enorme, stimato in 23 miliardi di dollari l’anno. Che rappresenta a livello internazionale, dopo armi e droga,  la tipologia di contrabbando più remunerativa, sostenuta dalla richiesta asiatica e dal commercio on line.
Pur se il bracconaggio ha sempre avuto un risvolto economico, in passato rappresentava un fenomeno circoscritto ad ambiti locali. Attualmente invece, per effetto della globalizzazione e delle tecnologie, ha assunto proporzioni e modalità che ne fanno un business redditizio e privo di confini. Che sempre più frequentemente serve a finanziare terrorismo o narcotraffico. L’incremento dei conflitti, a fronte del limitato pericolo di condanne e della tenuità delle pene, ha determinato uno smisurato aumento del commercio illegale di specie rare. Crimine che, sostenendo la corruzione ed il terrorismo,  genera   ed inasprisce aggrava ingiustizie disuguaglianze prevaricazioni e povertà delle popolazioni locali.
Il traffico di avorio, corni di rionoceronti, pelli di felini selvatici, lane, ma anche di fauna selvatica (coccodrilli e rettili, volatili, pesci, farfalle) è in costante aumento.
Il solo commercio dell’avorio dal 2007 ad oggi è più che raddoppiato. E, paradossalmente, il rischio di estinzione delle specie cacciate provoca l’incremento del prezzo della “merce” accrescendo il profitto delle organizzazioni criminali.
In Asia il costante saccheggio di animali selvatici, imputabile a fattori culturali a cui concorrono credenze, superstizioni e medicine tradizionali, sta determinando la scomparsa fine estinzione di parecchie specie (tigre, leopardo, rinoceronte, antilope tibetana ).
Ma è proprio la richiesta asiatica a rendere inarrestabile questo commercio perché l’Asia è il maggior mercato per quanto riguarda il commercio di prodotti derivati da specie protette e quindi il Paese con maggior traffico illecito. Ed il maggior acquirente di bracconaggio e commercio illegale che si dirama dal continente africano. L’Africa è infatti il Paese dove avviene un incessante massacro.
Il rinoceronte è a un passo dall’estinzione con cinque specie scomparse alla fine del secolo scorso ed una, quella del rinoceronte nero, diminuita a meno del 10 %. In Sudafrica e Zimbabwe, dove si trovano il maggior numero di esemplari, la strage è in vertiginoso aumento  per il valore,  66.000 dollari al kg, raggiunto dal corno dell’animale.
Particolarmente ricercato l’avorio, soprattutto in Cina, dove sul mercato nero può costare anche 3.0000 dollari al kg un prezzo estremamente redditizio per le milizie armate che nel continente africano agiscono impunemente anche nelle riserve.  Mentre i commercianti di avorio variano costantemente le rotte e la movimentazione della merce per eludere i controlli e sottrarsi alle normative,. La corruzione dei funzionari fa il resto.
Le cifre rivelano la drammatica situazione : se in Senegal e Sierra Leone gli elefanti sono estinti, in Zimbabwe nel 2013 sono stati massacrati più di 300 pachidermi nel Hwange National Park, in Mozambico il bracconaggio ha trucidato più di 2.500 animali, nella riserva di Selous in Tanzania dal 2009 al 2013 sono stati uccisi due terzi degli esemplari presenti mentre nella Repubblica Democratica del Congo ne sono stati sterminati oltre 1.000. 
Attualmente in Africa sono presenti tra i 400 e i 600 mila elefanti e poiché ne vengono uccisi tra i 20.000 e i 25.000 all’anno risulta che dal 2010 sono stati abbattuti molti più esemplari di quanti ne nascano. L’estinzione della specie appare inevitabile ed imminente ( 25 – 50 anni secondo gli esperti) se non si attueranno immediatamente interventi adeguati.
L’inasprimento delle pene appare urgente per evitare che bracconieri ed acquirenti colti sul fatto abbiano communate solo piccole sanzioni o detenzioni di esigua durata ( il principale cacciatore di elefanti del Congo, Ghislain “Pepito” Ngondjo, ha avuto una condanna di soli 5 anni di carcere per aver sterminato centinaia di pachidermi).
Ma anche per proteggere l’incolumintà dei guardie forestali che risultano numericamente inferiori e decisamente meno attrezzate dei bracconieri.
Come proposto da John Scanlon, segretario generale della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, occorre equiparare,  i crimini dell “illegal wildlife trade” contro la fauna selvatica ai reati gravi quali il traffico di armi e stupefacenti.
Inoltre, poiché l’Europa è il continente di transito per i traffici illegali come dimostrato dagli annuali sequestri di questo tipo di prodotti, è indispensabile che l’UE fermi il passaggio di questi commerci  sul proprio territorio.
Infine maggiori controlli e pene più severe risultano necessari anche negli Stati Uniti ed in Europa che sono tra i principali acquirenti di prodotti legati a specie protette.


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